Apprendo da wikipedia che l’Epoché (o sospensione del giudizio) consiste in un processo cognitivo legato ai giudizi etici e morali che impone di astenersi dal giudizio appunto in assenza di un numero sufficiente di informazioni.
Praticamente il contrario del pregiudizio.
Quello strano atto cognitivo che volontariamente o meno ci portiamo appresso in ogni dove o in ogni occasione.
Ciò che mi sto imponendo in queste ore che mi separano dalla partenza é proprio questo.
Fare tabula rasa di ogni pregiudizio.
Aspettare e vedere con i miei occhi ciò che mi aspetta dall’altra parte del mondo.
Rendendo unico ogni momento di novità che mi attende.
Questo secondo me è quello che dovrebbe imporsi ogni persona che
sta per intraprendere un viaggio vicino o lontano che sia.
Quando mi recai a Belfast qualche anno fa’ mi capitò una cosa del genere senza che ci dovessi pensare su come in questa occasione.
Della questione nordirlandese non conosceva nulla.
Conoscevo un acronimo (I.R.A) e qualche fatto che parlava di divisione e lotte fra uomini.
Niente di più.
Su un diario scrissi dopo aver visitato la città e sentito riecheggiare gli scarponi delle marce orangiste, che non capivo bene cosa potesse dividere uomini che all’apparenza sembravano così simili ma le cui idee chiudevano in tragico circolo ozioso fatto di orgoglio, sangue e terra.
Mesi dopo mi informai, lessi appassionatemente e scrissi una tesi triennale sul processo di pace in Irlanda del Nord.
La parziale ignoranza dei fatti mi costrinse a conoscere.
La curiosità mi allineò ad una bandiera.
Non voglio entrare nel merito se sia un bene o un male quest’ultima cosa, ma l’esperienza mi spinse a dover conoscere prima di farmi un’idea.
E non il contario.

Ora mi trovo in una condizione diversa.
Mi trovo cresciuto, volente e nolente.
E la crescita impone delle sicurezze che a volte si aggrappano a dei
pregiudizi per non sentirsi franare troppo la terra sotto i piedi.
Dietro un oblò di idee si trova un mondo che in un modo o nell’altro bisogna accettare.
Un mondo fatto di quasi 6 miliardi di persone.
Divisi per continenti.
Stati.
Regioni.
Province.
Città.
Comuni.
Gabbie.
Favelas.
Comunità.
Strade.
E fortune mancate.

Miro a sud ancora una volta.
Dall’altra parte del mondo.
America Latina.
L’America Latina tanto sospirata delle mie letture preferite.
Garcia Marquez.
Sepulveda.
Amado.
Coloane.
Mutis.
L’aria delle Ande che mi aspetta.
Bolivia.
Un cuore che batte forte.
"E gambe forti per tempi incerti" come canterebbe Cisco.
Ripasso il percorso.
un viaggio lungo due giorni che mi porterà a contatto con
aeroporti, scali, aerei, hostess e chiamate lungo sterili corridoi.
Da Milano a Madrid.
Via Santa Cruz, Cochabamba e finalmente Tarija.



Una sola persona ad attendermi.
La più importante.
Mentre il fiorire di un nuovo mondo da esplorare si farà strada piano piano dapprima nei polmoni e negli occhi per poi raggiungere il resto di un corpo che avrò portato per la prima volta nella mia vita nel continente desaparecido dove se la vita coincidesse veramente con la lettaratura dovrebbero essere i miserabili a fottere i "potenti" anche solo per il gusto di non dargliela vinta a quei maledetti mulini a vento.

Si parte.
Domani si parte finalmente.
Una settimana lontano da tutto.
Una settimana per prendere fiato prima del grande viaggio.
Bolivia, a fine mese.
A ritrovare Lei.
E a guardare il mondo al contrario.
Per ora indietreggio sui passi dei mie nonni e mi godo il sole, se non mancherà all’appuntamento, dell’estate.
Miro a Sud.
E respiro il viaggio.

La questione delle radici è una questione complessa.
Si può decidere di non averle.
Di averle forti e resistenti ad ogni intemperia.
O di lasciare che fluttuino per aria, come racconta una scrittrice di origine turca, Elif Shafak, in modo che siano libere.
E’ una questione complessa perché mette in gioco l’identità che il più delle volte finisce per nutrire l’orgoglio.
E l’orgoglio è il pane che mi nutre in certi momenti, e in altri mi rende forse cieco.
Le mie sono radici forti e dure che allo stesso tempo cedono ai rami che ho per la testa.
Rami giovani, verdi, assetati di linfa, che seguono il sole nella sua parabola quotidiana.
Il sole è zingaro per questo i rami si fanno spazio nel cielo che si staglia, mentre le radici si affrettano a tenere dritto il tronco.
E’ una metafora ricca di retorica.
Ma che ha il merito di spiegare molte cose con l’uso due semplici figure.
Si potrebbero usare anche altre due parole.
Tradizione.
Modernità.
La prima ha il difetto di mordere stretto.
E la seconda di non tenere conto di ciò che è stato.
A chi importa cosa sarà, toccherà miscelare bene due facce della stessa medaglia.
Cosi simili.
Ma così uniche allo stesso tempo.
Come due gambe che si intersecano in un tango esemplare.

Mi trovo in balia del sole.
O in attesa, come sempre.
Dell’onda giusta, questa volta.
Che mi porti in viaggio fra le pagine e i tasti di un pc da schiacciare dai quale dipende forse un futuro.
Mañana.
Mañana, e più vicina di quanto non si pensi.
Ed io penso a ieri. (un controsenso?)
Ad un sogno che si è trasferito per poche ore qui da me.
Il tempo di un week end.
Il tempo di un risveglio.
Un bacio e poi ripartire.
Perché partire è un po’ come risorgere.
Forse restare è un po’ come morire.
(Ecco il segreto!)
Le vacanze iniziano con largo anticipo, tra un mese.
Una vacanza non è vacanza se non è a tappe.
La prima tappa è un dovere, ma è anche estate, è mare.
E’ una tappa corta. 1600 Km o giu di li.
Mira a Sud.
La seconda tappa varca l’oceano.
Mira a Sud-OVest.
Ed è un ritrovarsi.
E uno scoprire.
O riscoprirsi.
(Mah?)
Fatto sta, che sarò lontano, e forse questo mi darà un po’ di vantaggio ul destino da scrivere.
Si capisce no cosa voglio dire ?
Forse non lo comprendo neanche io, e chissà se ci capivano qualcosa anche Joyce o Kerouac lasciandosi andare a questo flusso di incoscenza che è lo scrivere.
Per questo preferisco la musica (non è vero...).
E’ istintiva, ma meno intestinale.
Scrivere è un po’ come buttare l’intestino su una scrivania.
E ciò che macchia con la propria ombra e il proprio pesantore su un
foglio è la nostra opera.
Scrivere è faticoso.
Ed io sono troppo pigro per questo.
La vibra giusta sta nella musica.
Mi affiderò a lei per adesso.