
Polifonica Vitaliano Lenguazza
di Antonio Lo Savio
da "Padova: 50 anni di goliardia", Ed. Phoenix
"I padovani fanno carte false per ascoltare la Lenguazza" Così
si intitolava un articolo di Fausto Pezzato, che riportiamo integralmente,
apparso sul Gazzettino nel Febbraio del 1967.
"Il grande attore, il grande comico, il grande trombone, la primadonna
bene o male un \'tutto esaurito" al Verdi lo provocano ancora, ma
devono buttare sulla bilancia tutto il peso della loro fama, dei loro
uffici stampa, dei loro public relations men, dei loro nomi schiaffati
sui muri a caratteri iperbolici. Per fare il pieno al Comunale devono
insomma sfruttare freneticamente la potenzialità di un costoso
apparato, altrimenti rischiano di trovarsi faccia a faccia con pochi appassionati.
Ma quando tocca alla polifonica "Vitaliano Lenguazza" bastano
dieci manifesti e un paio di giorni per vendere tutti i biglietti: i concerti
dell`orchestra dei goliardi padovani convogliano al Verdi il pubblico
più eterogeneo e più caldo che si possa immaginare, dal
professore universitario alla commessa. Le autorità che non sono
abbastanza autorevoli per avere il posto assicurato nel palco o in platea
fanno le carte false, una volta tanto, per guadagnarselo e. forse unica
eccezione, usano del potere come non andrebbe usato pur di godere il privilegio
di un posto "distinto" o semplicemente di non restar fuori dal
teatro. Nepotismo, prevaricazioni, minacce mica tanto velate: la gente
che conta lusinga e terrorizza, vuole esserci.
Serietà
e burla
La
"Lenguazza", che per certuni - come avrete capito è diventata
una moda, una fonte di entusiasmo un po\' snob, per il grande pubblico
è soprattutto uno spettacolo diverso, assurdo, demistificatorio,
nel quale serietà e burla si mescolano piacevolissimevolmente.
Ma per i ragazzi che la compongono, e per i ventimila studenti dell\'Università
di Padova, la "Lenguazza" è la libertà cantata
e musicata, la "Radio libera della Goliardia", la sopravvivenza
più schietta di un costume schiacciato dalle problematiche, corroso
dagli acidi della politica, stravolto dalla pressione di un esercito di
grattacapi che il profondo mutamento della popolazione studentesca ha
portato dentro al Bo\'. Venti o trent\'anni fa questi ragazzi in bombetta
e coda di rondine che hanno della musica concetti personalissimi avrebbero
costituito uno dei tanti aspetti della vita goliardica; nemmeno il più
cospicuo, nemmeno il più pittoresco forse. In una comunità
che si dava un capo, il Tribuno a suon di botte e le cui fazioni assoldavano
talvolta nerboruti figli del Portello per trascinare sul tavolo anatomico
il loro candidato (quello era appunto il podio del vincitore), la "Lenguazza"
difficilmente avrebbe goduto dell\'attuale fama.
Ma la goliardia sta tirando le cuoia, il Tribuno è, tutto sommato,
figlio del la Democrazia, le rappresentanze studentesche non ignorano
certo come si riproducono, in sedicesimo, le baruffe parlamentari. La
partitocrazia, il qualunquismo, l\'impegno, il disimpegno, le rivendicazioni,
gli scioperi hanno spazzato dal Bo\', come era inevitabile quasi tutti
i residuati goliardici, e anche la caccia alle matricole, l\'ultimo modesto
rigurgito di una spenta aristocrazia universitaria, è messa in
discussione: c\'è stato persino un processo in tribunale allorchè
una matricola, rompendo secoli di umile silenzio, denunciò un paio
di "anziani".
Contro i fondali di questa fosca rivoluzione, la "Vitaliano Lenguazza"
risalta, splende, è un meraviglioso reperto archeologico incrostato
di ricordi, è uno spruzzo di luccicante color sul grigio tramonto
del sole goliardico, il portavoce di quella spensieratezza che sta consumandosi
nel cuore degli ultimi gaudenti con decine di "bolli". Quando
Mario (leggi Carlo) Barotti, il suo direttore, alza la bacchetta e spinge
dolcemente i "professori" sui sinuosi sentieri di una "Vispa
Teresa" sincopata, è come se dalle antiche budella del Bo\'
volassero al cielo crepitanti pagine di storia: ho visto ministri, corazzati
da decenni di lotte politiche, opporre disperati sorrisi alla commozione
che l\'inno goliardico suscitava nei loro petti, mentre lo sguardo perduto
oltre il semicerchio dell\'orchestra abbracciava i fantasmi di una lontana
gioventù.
II
Benvenuto
Ma
il risveglio dell\'ospite illustre, cui la "Vitaliano Lenguazza"
offre il benvenuto e il benservito in occasione di cerimonie ufficiali,
è peraltro assai brusco: c\'è infatti nel repertorio della
polifonica un bel po\' di "grasse" cantiche che un coro raccogliticcio
interpreta con feroce determinazione, i versi delle quali non posso ovviamente
nominare in questa sede per non offendere la suscettibilità del
lettore anche se, glielo assicuro, essi accompagnarono verso l\'uscita
del Bo\' personaggi di primo piano (lo stesso Saragat, ricevuto con violento
affetto dagli studenti padovani nel loro tempio, varcò sorridendo
la soglia dell\'Ateneo sospinto da poco presidenziali rime).
Tra le innumerevoli imprese della "Lenguazza", ch\'è ormai
diventata la colonna sonora delle feste che si svolgono nelle varie università
italiane, mi pare opportuno sceglierne due: un memorabile concerto all`ospedale
psichiatrico e un`esibizione improvvisata, ma non meno memorabile, all\'ospedale
tout court, sempre nella prediletta Padova. Ufficialmente invitati dal
direttore dello psichiatrico a Brusegana - che dopo la ben nota rapina,
gli studenti hanno battezzato "Spedale 40 milioni"- a rallegrare
il soggiorno dei degenti, i virtuosi della "Lenguazza" ottennero
una così generale approvazione che non parve esagerato, in quel
frangente, parlare di una nuova, stupefacente terapia: gli stessi protagonisti,
descrivendo l\'immediata spontanea aderenza dell`auditorio allo stile delle
esecuzioni non esitarono a definire "pazzesco" il successo della
serata (rimase soltanto in qualche spettatore il dubbio che la sua permanenza
all\'ospedale psichiatrico fosse, dopo tutto, scarsamente motivata) .
All\'ospedale civile, invece, la "Lenguazza" era entrata con
un mesto sorriso per compiere un\'opera buona: i ragazzi volevano donare
il sangue al padre di uno di loro che vi era stato ricoverato. Donato
che lo ebbero, e poiché scoprirono con indicibile meraviglia d\'aver
portato distrattamente anche i ferri del mestiere, vale a dire flauti,
trombe, pifferi, tamburi, contrabbassi eccetera, decisero su due piedi
che sarebbe stata disdicevole cosa lasciare quel luogo di sofferenza senza
donare agli sfortunati ospiti un po\' della loro arte. Così, certo
per la prima volta nella storia dell\'ospedale civile di Padova, tra cirrosi
epatiche e appendici infiammate, vizi cardiaci e ulcere, blocchi renali
e arteriosclerosi, s\'alzarono le note del "Gaudeamus igitur"
e del "Canto della mosca": medici, infermieri, suore sciamarono
dalle sale, trepide puerpere lasciarono il letto, cronici da sempre assopiti
volsero alla musica sguardi gonfi di gratitudine. Gente morì, ma
col sorriso di chi una cosa simile non aveva nemmeno osato sognare".
Ma
che cosa fu, in realtà, la Lenguazza?
Lo scrivente, che ebbe l`onore di farne parte dall`8 Febbraio 1967 al
"concerto d\'addio" riesce solo a definirla con una parola: la
Lenguazza fu un\'emozione. Un\'emozione per le migliaia di studenti che
gremivano le piazze e venivano presi dal fascino sottile delle canzoni
goliardiche modificate in modo sempre nuovo ed imprevisto, un\'emozione
per i "professori" che vedevano quella marea di gente trascinata
nel vortice scatenato dalle loro musiche e dai loro arrangiamenti.
L\'ente morale (perché si era esibita all\'ospedale psichiatrico
di Brusegana) polifonica "Vitaliano Lenguazza" della repubblica
italiana (perché aveva suonato per i presidenti Segni e Saragat)
e della Rai-Tv (perché era apparsa in televisione), insignita,
per altro della Commenda del Sovrano Commendevolissimo Ordine Goliardico
di San Salvi di Firenze e del Cavalierato del Sovranus VenerabilisQue
Fictonis Ordo di Bologna, nacque quasi per caso.
Cinque goliardi, Carlo Barotti, Gigi Villani, Gian Paolo Campesan, Marcello
Zancan e Giorgio Rupolo avevano deciso di fare, 1\'8 Febbraio 1959, una
"macchietta" per la festa della matricola: vestiti in tight
e bombetta si erano procurati alcuni vecchi strumenti per suonare delle
canzoni goliardiche; trovato, per caso, uno sperduto tamburino, Dario
Cicero, matricola, ma bravo, lo adottarono immediatamente, tenendo, così,
su due piedi, il primo concerto ed ottenendo il primo successo. A questo
gruppo iniziale si unirono, ben presto, altri "professori" e,
nel contempo, da un angolo, nel ghetto di Padova, la "Corte Vitaliano
Lenguazza, musicista" fu preso il nome.
In breve tempo, di concerto, di trionfo in trionfo, la polifonica "Vitaliano
Lenguazza" divenne famosa in tutta Italia. Spicca in un repertorio,
interamente dedicato a motivi goliardici, una canzone "Lilì
Marlen" che di goliardico non ha nulla. Tuttavia, anche questo fa
parte del mito della "Lenguazza".
"Correva
l\'anno 1962" ci ha raccontato un testimone oculare, studente di Padova,
ma "balì" del triestino ordine goliardico dello Sciacquone
"e la banda era a Trieste per suonare in Piazza Unità d\'ltalia
durante la festa della matricola. La polizia aveva precisato che non sarebbero
state permesse, dato il particolare clima di tensione che regnava in città,
canzoni di carattere politico. II momento era delicato. Nell\'interno della
banda c\'era animazione. Potevano i goliardi subire un ricatto del genere?
Mai! Allora... tutti pronti? Al quattro! II concerto ebbe inizio. Delle
note si levarono nell\'aria tra l\'entusiasmo degli spettatori: quelle di
"Lilì Marlen". Le camionette della polizia, con un infernale
carosello, caricarono." Fu la catastrofe.... o l\'apoteosi???
Per
anni sociologi, analisti e psicologi si sono arrovellati per tentare di
capire quali arcani meccanismi fossero alla base dello strepitoso successo
della `\'Lenguazza". La spiegazione, in realtà, era semplice.
Esso nasceva dalla perfetta sintesi delle due anime che erano in lei:
da un lato trombe, sassofoni, clarini "i bravi\'\', dall\'altro bassituba,
grancassa, percussione "la spina dorsale della banda". I primi
trascinavano i secondi al punto che questi ultimi, pur con un numero minimo,
in qualche caso nullo, di prove, spesso riuscivano a non steccare, per
contro i secondi davano ai primi il nerbo necessario per esibirsi in qualsiasi
circostanza. Il tutto era amalgamato dalla sensibilità musicale
di Dario Cicero, il maestro concertatore, e dalla eccezionale prontezza
di riflessi di Carlo Barotti, il maestro presentatore. Chi era presente
al Verdi per il concerto dell\'8 Febbraio 1967 ricorderà che, essendo
stato lanciato da un palco di proscenio, ad inizio di spettacolo, un rotolo
di carta igienica, lo stesso venne prontamente raccolto da Barotti e rilanciato
al mittente con la battuta, che fece quasi crollare il teatro dagli applausi:
"È commovente vedere come la gente si tolga anche il pane
di bocca per darlo a noi!"
Il
vero segreto
Ma il vero segreto della "Lenguazza" venne pubblicamente svelato
da Giuseppe Lugato in un numero del "Radiocorriere-Tv" del Giugno
1967 con l\'articolo intitolato "La polifonica del vino e delle stecche"
di cui stralciamo alcuni brani:
"(...) Riprendiamo il discorso con il maestro concertatore che si
chiama Dario Cicero, detto Don Gallinazzi o più semplicemente il
"gallinaccio". È studente di legge. Mi racconta d\'essersi
iscritto coll\'intento e la promessa formale a mamma e papà di spicciarsela
nel più breve tempo possibile. Anche adesso, con tutta serietà
rinnova l\'impegno, ma subito confessa che dal giorno del suo ingresso
alla università a oggi son passati nove anni ed è ancora
ben lontano dal traguardo. E anche come musicista lo studio non è
il suo forte, perché non conosce nemmeno una nota musicale. Del
resto la maggioranza dei suoi colleghi si trova nelle stesse condizioni.
Ma né lui né gli altri si preoccupano di questo fatto pur
fregiandosi del titolo di "professori". Loro hanno una tecnica
particolare, che è un segreto, e chiede a me se è possibile
brevettarlo.
L\'elemento coagulante, il cemento che unisce la "polifonica"
e consente di suonare e cantare (?!?) è il vino, "l\'ombra"
come si chiama da queste parti un bicchiere colmo. Prima di ogni concerto,
anche in Aula Magna, anche davanti al Senato Accademico, di "ombre"
ne bevono a decine. Io insisto che vorrei definire lo stile di questa
"Polifonica Lenguazza" degli "Spedali" e via di seguito,
così famosa nel Veneto e oltre il Veneto. Si alza un tipo con la
barba alla nazarena, ma tutto lindo curato niente affatto capelluto. Si
alza a fatica. Ha il volto ispirato, gli occhi contratti. Si vede che
pensa intensamente. Dice piano, scandendo le parole: "Il nostro stile
è un\'insieme di dissonanze dell\'io interiore che si estrinseca
in un anelito personale di libertà...". La "stecca"
è di prammatica, si cerca la "stecca", si insegue la
"stecca": messa lì al momento giusto rappresenta un motivo
di attrazione. Insomma, parrà strano, ma anche la loro capacità
di "steccare" viene citata come esempio di bravura, come caratteristica
tipica ed unica della "Lenguazza\' eccetera. E di questo nessuno dubita.
(...)".
Il
6 e 7 Febbraio 1969, a dieci anni esatti dalla sua fondazione, la "Lenguazza"
all\'apice del suo splendore, con tre memorabili concerti al Verdi, cessò
la sua attività.
Per rigore storico, ci fu 1\'8 Febbraio 1970, da parte di alcuni goliardi,
dei quali faceva parte anche lo scrivente, un tentativo, dettato dalla
speranza, risultata vana, che i vecchi "professori" potessero
recedere dalla loro decisione, di suonare in piazza; ma niente e nessuno
poteva reggere il confronto con la Polifonica "Vitaliano Lenguazza".
Dal
Gazzettino del 9 Febbraio 1970 riportiamo il seguente brano:
"(...) Dobbiamo scrivere che malgrado l\'entusiasmo dei fautori di
questa contrastata riesumazione lo spettacolo è stato malinconico.
Un "estratto" della celebre polifonica del Bo\' - del resto -
non poteva bastare a ristabilire un clima, che è ancora soltanto
un ricordo, mancando il terreno propizio alle tradizioni baldorie. Della
"Vitaliano Lenguazza" ce n\'è stata una sola; e il concertino
di ieri dovrebbe indurre quei giovani orchestrali a una attenta riflessione.
(
)"
Tale iniziativa, considerata eretica e blasfema dai "Lenguazziani"
che non si erano sentiti di condividere lo spirito che l\'aveva animata,
venne vivamente stigmatizzata anche in anni successivi.
Scrisse,
a questo proposito in una lettera inviata al Gazzettino in data 31 Dicembre
1972, il "Principe polifonico prof. di Zum Bum. Marco Tonon":
"(...) Tre o quattro squallidi individui, di cui qualcuno era stato
anche fra noi, hanno tentato di suonare dopo il fatidico 8 febbraio del
\'69 in cui chiudemmo baracca.
Quei tali che non avevan capito di che animo venissimo, non riuscirono
a catturare nemmeno quel pubblico che ancor oggi ci vuole. Tu sai bene
che non è poi tanto nemmeno questione di pubblico è questione
di avere i contro... fagotti, tanto per restare in tema con strumento
musicale. I giovani appunto erano sprovvisti di tale contro argomento
come di spirito e di capacità orgarnizzativa. (...)"
Ma
non è detto che la leggenda della "Lenguazza\'\' sia definitivamente
consegnata alla storia: come un\'esile fiammella che ogni tanto viene rinvigorita
da un colpo di vento così la notizia che la Polifonica suonerà
ancora rimbalza. a intervalli periodici. dalle pagine dei quotidiani.
Bene. se questo dovesse verificarsi. Io scrivente. che pure fu quello
che aprì l\'entrata trionfale al "concerto d\'addio", levando
in alto un bimbo in frac, ghette e tromba, è disposto. pur di riconquistare
quel posto di ultimo triangolo aggiunto che si era guadagnato con anni
di onorata milizia goliardica, a cospargersi il capo di cenere e ad espiare
tutte le sue colpe di "lesa maestà\'\'.
E
QUESTO È AVVENUTO!
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