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LA LETTURA del PAPIRO
di Laura Peron

Tesina di Sociologia della Comunicazione, Corso in Scienze delle Comunicazioni, Università degli Studi di Padova, A.A. 1999-2000


- Introduzione: lo svolgimento tipico 
1. Le origini storiche della tradizione 
2. Il modello durkheimiano del rituale 
3. Momento liminare di un rito di elevazione di status 
4. La lettura come rappresentazione: Goffman 
- Bibliografia e materiale utilizzato 
 

Introduzione: lo svolgimento tipico

L’oggetto della mia analisi è il la parte del rito di laurea in cui si svolge la lettura del papiro, di cui ho cercato di individuare le origini storiche, il carattere rituale, il ruolo all’interno del macro rito della laurea, la sua natura di rappresentazione. 
Nel suo svolgimento tipico, la lettura del papiro avviene nella parte sociale del rito; più precisamente, dopo che è avvenuta la proclamazione, che il laureato è stato spogliato, ha corso nell’atrio del Bò, ha passato il tunnel ed il salto della catenella. A questo punto, tutti escono dal Bò e si fermano di fronte all’edificio: il laureato aiutato dagli amici individua una panchina libera e ci sale sopra, rivolto in direzione del Bò, mentre tutte le persone che sono venute ad assistere alla sua laurea si dispongono a semicerchio di fronte a lui, fra la panchina e l’entrata del Bò. A volte ci sono alcuni scherzi preliminari, quindi gli autori del papiro (generalmente gli amici) lo danno da leggere al laureato, eventualmente aiutandolo a sostenerlo. Quando il laureato commette qualche errore o fa qualche commento non autorizzato deve bere da una bottiglia di vino, su ordine dei suoi spettatori. Spesso, dopo la lettura dell’intestazione, viene intonato un coro ("Dottore…") e fatto un applauso, ed entrambi vengono ripetuti alla fine della lettura. Al termine, il laureato scende dalla panchina e a volte si riveste (ma di solito no). Poi tutti si avviano verso il rinfresco oppure in giro per il centro di Padova. 
 

Le origini storiche della tradizione

In questo paragrafo cercherò di analizzare gli elementi che, da un punto di vista storico, sono intervenuti nello sviluppo della tradizione della stesura e della lettura del papiro. Le origini più lontane risalgono addirittura al Medioevo, ma fondamentale nell’elaborazione del rito attuale è stata la goliardia moderna, da cui non si può prescindere per capire com’è nato il rito e che valore può avere oggi. 

La laurea medievale

Oggi la laurea è un evento che coinvolge il singolo individuo, che invita ad assistere e festeggiare i parenti, gli amici, i compagni più stretti, cioè le persone con cui ha instaurato un legame affettivo, informale. Nel XVI secolo, al contrario, il raggiungimento della laurea comportava una cerimonia collettiva, che vedeva la partecipazione dell'intera cittadinanza. A Padova si svolgeva all'interno del Duomo, alla presenza del Vescovo e dopo una messa solenne. Era pertanto una delle più solenni manifestazioni universitarie: nella cattedrale addobbata a festa per l'occasione, si imponeva la corona d'alloro al nuovo laureato, che indossava sontuose vesti di seta e portava uno scettro ed una corona. Erano inoltre presenti all'avvenimento il Rettore, in toga di velluto rosso ed ermellino, il Podestà, le Nationes, nei loro costumi, i Lettori, togati anch'essi, i bidelli, che reggevano le mazze, e gli scolari dello studio, che recavano, su cuscini di seta, statuti e sigilli dell'Università. Tutti questi elementi contribuivano a creare un’atmosfera altamente formale e solenne, in corrispondenza dell’importanza ed ufficialità attribuite all’evento. Queste erano ulteriormente rafforzate anche dall’usanza, in vigore per un certo periodo nella città di Padova, di far annunciare l’avvenuta proclamazione dal banditore comunale. 
Al di là di questo, la laurea era resa pubblica, spesso anche se non sempre, con la pubblicazione di un bando, sotto forma di manifesto, in cui l’annuncio del lieto evento era seguito dalle congratulazioni di colleghi, amici e parenti. Questi manifesti potevano contenere anche sonetti, epigrafi ed iscrizioni, già prima della nascita della goliardia moderna, per influenza della forte tradizione, molto viva in passato in tutta Italia, di celebrare gli avvenimenti significativi del corso di vita (i passaggi di status come matrimoni, battesimi, cresime…) con la composizione di canti e poesie, di carattere serio ma anche scherzoso e sboccato, talvolta distribuite ad amici e parenti sotto forma di stampati (santini e manifesti). Tuttavia questi erano comunque molto diversi dal papiro odierno, dato il loro contenuto serio e retorico di esaltazione morale ed intellettuale dello studente stesso. In questi antenati del papiro, era la parte scritta ad avere il ruolo fondamentale, tranne per la presenza di qualche decorazione tipografica, e non c’era nessun accenno alla vita privata del laureato. 

La goliardia

Questi sono i presupposti storici della tradizione del papiro, dai quali prende spunto la goliardia moderna, attiva a Padova fin da fine ‘800 – inizio ‘900, per elaborare il proprio caratteristico rituale. I primi riti di laurea goliardici nascono, infatti, proprio come parodia e rovesciamento della pomposa cerimonia ufficiale: il laureato viene vestito di stracci anziché di vesti di seta, gli viene consegnato un fiasco o una scopa anziché uno scettro, è magnificato in un manifesto per le sue qualità di bevitore, giocatore o conquistatore invece che per la sua moralità e sapienza. 
L’usanza del papiro diventa quasi universale a Padova negli anni ’50-’60, nel momento cioè di massima diffusione della goliardia, che raccoglieva la maggioranza della popolazione universitaria. Il declino di questa forma di aggregazione degli studenti, iniziato negli anni ’70, non porta però alla diminuzione dei papiri, che continuano a segnare la conclusione della carriera della gran parte degli studenti, siano o non siano goliardi. In questo Padova differisce dalle altre sedi universitarie italiane, nelle quali la stesura e lettura dei papiri sono diffuse in modo molto più limitato, quasi esclusivamente in ambito goliardico. 

Le valenze goliardiche della lettura del papiro

 Diversi elementi e ritemi sono derivati più o meno direttamente dalle "angherie" che le matricole subiscono al loro ingresso nell’università: la conclusione del ciclo di studi viene sancita dalla ripresa di quelle azioni e situazioni che ne avevano segnato l’inizio. Questo può essere considerato un indicatore della consapevolezza che, in entrambi i casi, inizio e fine, l’individuo attraversa una fase di passaggio simile da un punto di vista strutturale, in cui assume lo status di iniziato. 
Innanzitutto, il papiro di laurea ha il suo antecedente temporale ma anche, in senso più ampio, genetico, nel papiro matricolare. Questa tradizione si è affermata negli anni ’60, con l’abitudine goliardica di costringere la matricola, in modi più o meno gentili, a sottoscrivere un documento, che serviva come lasciapassare all'interno delle mura dell'università e costituiva una sorta di difesa dagli assalti di altri goliardi più anziani. Erano questi ultimi infatti che lo fornivano, dietro pagamento in Bacco, Tabacco e Venere, cioè con ricompense in alcolici, in sigarette o in favori femminili, e rimanevano poi pronti a trovare cavilli di ogni tipo per poter correggere il papiro stesso con codicilli, in modo da estorcere altre offerte al nuovo studente. Da quel momento, comunque, la matricola veniva accolta nel novero degli studenti universitari ed iniziava a prendere parte ai loro svaghi, ricevendo, pur da una posizione subalterna, consigli ed aiuti per la sua nuova vita. 
L’antecedente storico di quest’usanza goliardica risale all’abitudine medievale del Rettore dell’università di pretendere dai nuovi studenti, al momento della consegna dell'attestato di iscrizione, oltre al pagamento della regolare tassa, anche ulteriori donativi di carattere personale, in denaro o natura. Questi venivano in genere riscossi tramite intermediari scelti tra gli anziani, per evitare al Rettore problemi ed implicazioni di vario tipo con la giustizia. Come indicazione dell'avvenuto pagamento venivano apposti segni e disegni di varia natura sull'attestato di iscrizione all'università e probabilmente, col passare del tempo, si decise di creare un apposito documento, riservato unicamente a questo uso. 
I vari ordini goliardici hanno poi elaborato una serie di codici (a Padova il Codice Morandini, del 1946) che forniscono dettagliate prescrizioni sulla redazione del papiro: dimensioni e numero di fori di sigaretta necessari per la sua validità, ordine da tenere nel firmare in calce, e così via. La lingua usata era il cosiddetto latino Goliardico, un latino maccheronico utilizzato per ironizzare sulla pretesa di ufficialità del documento. La fantasia degli scriventi, poi, si poteva sfogare nel completare il papiro con disegni di diversi tipi, molto spesso allusivi alla sfera sessuale e comunque ironizzanti sulla figura della nuova matricola. Presenti nella maggior parte delle forme di comunicazione scritte della goliardia, tutti questi elementi vanno poi a caratterizzare il papiro di laurea nella forma attuale. 
Anche il fatto che il laureato debba leggere il papiro in piedi su una panchina trae le sue radici dalla tradizione goliardica, che si è intrecciata poi con le limitazioni imposte dalle autorità alla spericolatezza dei neolaureati. I goliardi avevano infatti l'uso di spedire i propri laureati o sulla statua del Cavour o sui balconi del Municipio, a leggere il proprio papiro tra gli sberleffi degli amici. Anche questa prova derivava dalla tradizione matricolare, che prevedeva che le matricole si arrampicassero, quasi esclusivamente in mutande, in tale posizione per ricevere i feroci commenti degli studenti più anziani. Inizialmente, ben pochi tra i non goliardi effettuavano la prova. Poi, a causa di alcuni incidenti, il Sindaco fece porre vasi di fiori sulla facciata del Municipio, occupando i piedistalli, mentre il Rettore fece inserire delle lastre di plastica per impedire l'arrampicata sulla facciata del Bò. La statua del Cavour, riservata ai più atletici, fu ingabbiata e resa non disponibile per anni, durante la sistemazione della piazza. Rimasero solamente le panchine antistanti l'entrata del Bò. Da allora sono sempre più numerosi i laureati che vi sono costretti dagli amici, poiché la prova non comporta più rischi e arrampicate. 
Anche la cosiddetta "mutandatio", cioè lo spogliare il laureato e lasciarlo in mutande in pieno centro di Padova, una volta era prerogativa esclusivamente goliardica, tenendo conto, del resto, che il senso del pudore era molto più rigido negli anni ’50 e ’60 rispetto ad oggi. Quest’atto aveva un significato fortemente anticonformista, in aperta opposizione alla mentalità borghese, molto attenta invece alle apparenze, al vestito assunto a simbolo del ruolo di un individuo nella società: l’abito fa il monaco. Non solo: serve soprattutto ad indicare chi ha potere e chi no, in una società in cui l’autorità individuale è fondata sulla particolare divisa che la persona porta, non sulle sue caratteristiche interiori. Caratteristica della goliardia, invece, è proprio il dare importanza all’individuo ed alla sua intelligenza al di là di quello che indossa, dei simboli esteriori del suo status. La prova tipica a cui vengono sottoposte le matricole è essere messi in mutande e rispondere in quelle condizioni a delle domande difficili, per dimostrare che anche in mutande si può ragionare, che quello che conta sono il cervello e le capacità, non le apparenze. E questo vale ancora di più per il laureato che, concluso un corso di studi lungo ed impegnativo, viene nuovamente sottoposto a questa prova scherzosa. 
Oggi la "mutandatio" è una pratica largamente diffusa, sia per i maschi che per le femmine. Questo è consentito sia dalla maggiore permissività che caratterizza la società attuale, sia dalla particolare condizione di sospensione delle regole in cui si trova il neolaureato in quanto iniziato (ma anche in modo simile a quanto avviene durante il Carnevale). Nella laurea A, il neodottore commenta, rivolto ad una parente, dopo essere stato spogliato:- È l’unico giorno che non ti mettono in prigione quando giri così, bisogna approfittarne -. La parente approva:- Oh bravo! È vero, eh. 
Un’altra valenza che può essere riscontrata nello spogliare il laureato, sottoporlo a scherzi, insulti e penitenze varie, è quella di impedire che si monti troppo la testa, di ricordargli che, anche se ha assunto uno status socialmente più elevato con il conseguimento della laurea, è pur sempre la stessa persona, con gli stessi pregi e difetti che aveva prima. Un po’ come avveniva nell’antica Roma quando, a fianco del generale, vittorioso in guerra, che celebrava il trionfo, uno schiavo aveva il compito di ripetere: "Ricordati che sei mortale", mentre i soldati intonavano i Carmina Triumphalia. Oggi, più prosaicamente, in questo modo si vuole dire al laureato:- Sei rimasto il solito cretino che eri, anche se adesso sei un cretino patentato. (Kociss) 

L’imitazione e le sue cause

Il rito attuale quindi deriva da un misto di tradizione, imitazione, evoluzione a seconda delle limitazioni imposte nel corso degli anni. Tutto ciò che è diffuso, divertente, fantasioso, riproducibile, tende infatti ad essere imitato. La stratificazione degli scherzi e la loro ripetizione sono tanto più favorite in quanto il Bò è un ambiente chiuso, circoscritto, nel centro della città, molto visibile. Nelle sessioni di laurea, ogni giorno si svolgono diverse decine di riti, che molti hanno la possibilità di vedere, a cui la gente può assistere come se fosse a teatro, ricavando così la percezione di una norma che deve essere mantenuta. È per questo che la diffusione del papiro a Padova investe un’ampia percentuale degli studenti. 
A questo punto, però, è necessario spiegare perché il rito continua ad essere riprodotto, in forme più o meno simili, nella stragrande maggioranza delle lauree che avvengono a Padova, anche da studenti che non conoscono nulla o quasi di goliardia e non hanno la minima idea delle valenze da essa attribuite agli elementi prima descritti. L’imitazione, di per sé, non è una ragione sufficiente a giustificare: rimane da chiarire perché siano certi elementi, e non altri, ad essere riprodotti, ed il significato che questi assumono in contesti diversi da quelli originari. In un gruppo di amici che festeggia una laurea possono essere introdotti ex novo moltissimi scherzi e ritemi, alcuni legati alla personalità del neolaureato, ai suoi pregi (ma più spesso ai difetti) ed alle sue idiosincrasie, altri nati sul momento, da qualche evento contingente o per associazione di idee. Solo alcuni però vengono ripetuti, istituzionalizzati, diventano tradizione e rito: si tratta ora di capire quali e perché. 
La lettura del papiro, in particolare, può essere considerata il momento più importante e culminante nel rito sociale, sia per la durata temporale che comporta, sia soprattutto per i molteplici significati che essa assume. Essa infatti, dal punto di vista sociologico, assolve a funzioni che vanno al di là di quelle ereditate dalla goliardia (e comunque presenti ancora oggi), giustificando così il suo mantenimento in un contesto non più esclusivamente goliardico. 
 

Il modello durkheimiano del rituale

La lettura del papiro può essere analizzata secondo il modello formale del rituale di Emile Durkheim, che prevede l’interazione di tre fattori fondamentali. Il primo di essi è la copresenza fisica di un certo numero di individui, in questo caso il laureato e coloro che sono venuti ad assistere alla discussione e proclamazione, e lo accompagnano poi per festeggiare insieme. È importante notare come, maggiore sia il numero di persone fisicamente presenti, più intensi sono gli effetti rituali che si generano. Il secondo fattore comporta che le persone fisicamente riunite in un luogo abbiano un comune focus attentivo e la consapevolezza reciproca della propria presenza. Infine, fra di esse si deve creare una comune tonalità emozionale. Questi tre fattori , operando assieme, caricano di energia emotiva e valore simbolico determinati oggetti (persone, cose, animali, idee…) che diventano quindi "sacri", in quanto simboleggiano l’appartenenza al gruppo stesso. 
Il processo descritto da Durkheim può essere utile nell’interpretazione di quanto è avvenuto nel corso delle lauree che abbiamo seguito, che sono state molto diverse dal punto di vista del coinvolgimento dei partecipanti. Relativamente al primo fattore, durante la lettura del papiro della prima laurea (laurea A), assistevano circa una ventina di persone, prevalentemente parenti del neo dottore; nella seconda (laurea B) invece il pubblico era molto più numeroso: comprendeva infatti circa una settantina di persone, soprattutto amici ed amiche della laureata. L’intensità degli effetti rituali creatisi, riscontrata empiricamente, ha confermato la validità di questo principio. 
Il focus attentivo della lettura è costituito dal laureato, che legge il suo papiro in piedi sulla panchina. Nel caso della laurea B, tutti i partecipanti erano concentrati sulla laureata, cercavano di seguire quanto diceva, ridevano alle battute, chiedevano spiegazioni per i riferimenti che non capivano, applaudivano, incitavano a bere, intonavano il coro "Dottore…". Eventuali commenti e battute su quanto scritto nel papiro venivano fatti generalmente a voce alta e all’indirizzo della laureata, in modo che tutti li sentissero: non costituivano, nella maggioranza dei casi, interazioni separate fra i partecipanti. 
Nella laurea A invece il focus attentivo sulla figura del laureato era molto meno forte, sia perché il laureato leggeva a voce molto bassa e con poca enfasi, sia perché sulla panchina di fianco un altro gruppo molto più numeroso e rumoroso tendeva ad attirare l’attenzione anche dei partecipanti alla laurea in esame. In questo caso il pubblico tendeva a prestare alternativamente attenzione al proprio laureato e a quello vicino e non riusciva né a sentire bene né a seguire i vari passaggi del papiro. Solo in rari casi sono state richieste spiegazioni relativamente ai punti oscuri, mentre commenti e battute, abbastanza scarsi, venivano fatti a voce alta solo da tre o quattro dei presenti (la madre, la fidanzata, un parente anziano), quelli maggiormente coinvolti. I rimanenti tendevano a distrarsi, a non capire e annoiarsi; gli amici presenti invece, pur seguendo con abbastanza attenzione la lettura, stavano in disparte e commentavano esclusivamente tra di loro quanto veniva letto, spesso in modo ironico o scettico, parlando sempre sottovoce e separandosi così dall’interazione principale. 
Anche il terzo fattore, quello della comune tonalità emozionale, era molto più riscontrabile nella laurea B rispetto alla laurea A: nella laurea B infatti la voglia di festeggiare accomunava praticamente tutti i presenti (con la sola eccezione di un ragazzo rimasto sempre in disparte dall’inizio alla fine del rito). È particolarmente significativo che partecipassero attivamente, prendendo parte agli scherzi o continuando a fotografare, anche alcune ragazze straniere (conosciute dalla laureata durante l’Erasmus), nonostante non conoscessero la lingua e non potessero comprendere perciò il testo del papiro, e probabilmente non capissero granché di tutta la celebrazione. Ciò che lo rendeva possibile era proprio la comune tonalità emozionale creatasi fra i presenti, la voglia di divertirsi e dimostrare il proprio legame affettivo con la laureata, la partecipazione al traguardo da lei ottenuto. Nella laurea A invece questo sentimento comune, seppur presente, era molto debole, come dimostrato dagli atteggiamenti non sempre partecipi dei presenti. 
Gli "oggetti sacri" che vengono caricati di energia simbolica nel corso del rito in questo caso sono innanzitutto il laureato, "oggetto sacro" per eccellenza dato il suo status di iniziato, e poi le stesse azioni rituali che segnano l’interazione: la disposizione spaziale dei presenti, il coro "Dottore…" ripetuto generalmente alla fine della lettura (ma anche nel corso di questa, in alcuni casi, per sottolineare punti significativi), il bere vino nel caso di errori. Tutte queste azioni hanno un forte valore simbolico perché innestano, sempre secondo il modello durkheimiano, un processo di feedback sul focus attentivo e sulla tonalità emozionale comune, contribuendo a rafforzarli. Pur non avendo un valore intrinseco, questi gesti contribuiscono quindi a dimostrare la volontà di coesione dei partecipanti che, nel momento in cui li mettono in pratica, ricreano il proprio senso di appartenenza al gruppo amicale/di parentela ed aumentano la propria energia emozionale. 
Perfino nella laurea A, in cui i tre fattori evidenziati da Durkheim erano presenti solo in misura limitata, il rinforzo circolare tra focus attentivo, energia emozionale e simboli sacri ha avuto l’effetto visibile di aumentare, nel corso dell’interazione rituale, il numero di persone che hanno preso parte al coro "Dottore…". Mentre immediatamente dopo la proclamazione esso era stato intonato solo una o due volte dai tre amici presenti, in tono basso ed imbarazzato (oltretutto non in modo spontaneo, ma dietro sollecitazione della fidanzata), al termine della lettura quasi tutti partecipano al coro conclusivo, arrivando a metterci perfino un po’ di entusiasmo. Nella laurea B naturalmente il livello di partecipazione e l’energia emozionale, più alti già in partenza, hanno raggiunto un livello molto più elevato, tanto che non si sono esauriti neppure nell’ora e mezza successive di vagabondare sotto la pioggia. 
Allo svolgimento di questa lettura del papiro può essere applicato un altro principio di Durkheim, quello della produzione della leadership carismatica. L’individuo che è focus del rituale (in questo caso la laureata) diventa anche simbolo del gruppo stesso, oggetto sacro, centro del flusso di energia che si crea fra i co-partecipanti: questo processo innesca una reazione circolare per cui mano a mano che ciò avviene egli acquista carisma, e mano a mano che diventa più carismatico aumenta la sua capacità di incrementare, a sua volta, l’energia emozionale del gruppo stesso. La neolaureata, che inizialmente, come tutti i suoi colleghi, era "succube" di quanto gli amici le ordinavano di fare, ad un certo punto ha assunto su di sé la direzione dell’interazione rituale, introducendo un elemento inconsueto nel rito: ha incitato infatti i presenti a urlare in coro "Olè!" ad ogni nome pronunciato nel corso della lettura dei ringraziamenti finali. Bisogna tener presente che i nomi citati nel papiro erano circa una sessantina, e gli "Olè!" sono continuati fino alla fine, con entusiasmo abbastanza costante, nonostante piovesse sempre più forte. 
Situazione molto contrastante rispetto a quella della laurea A, in cui il laureato, che già in partenza non era molto "caricato", ha finito per deprimersi ulteriormente nel corso della lettura data la scarsa attenzione prestatagli dai presenti: il gruppo difficilmente poteva celebrare con il rito il proprio senso di appartenenza e coesione, dato che esso era molto scarso in partenza, e ancor meno poteva rendere il dovuto onore al laureato per il raggiungimento di quell’importante traguardo, quando lui stesso sembrava quasi scocciato dai festeggiamenti che gli venivano fatti. In un certo senso, questo costituisce una violazione del rituale: una laurea noiosa, malriuscita, un papiro sciatto e poco divertente sono una mancanza di rispetto per lo status sacro del laureato, una mancata celebrazione. 
Un’ultima osservazione, relativa alla consapevolezza reciproca della presenza corporea fra i partecipanti. Secondo il modello del rituale dell’interazione, la concentrazione dell’attenzione e del sentimento comune, rafforzandosi a vicenda in modo circolare, possono portare ad una sincronizzazione dei movimenti dei presenti maggiore rispetto a quella riscontrabile in un gruppo di persone non impegnato in un’interazione rituale. La lettura del papiro comporta molte attività di tipo ritmico, sincronizzato, da parte del pubblico: basti pensare ai canti, agli applausi, alle risate. Anche in questo caso la sincronizzazione è stata molto più evidente nella laurea B che in quella A. 

Momento liminare di un rito di elevazione di status

Secondo l’ipotesi interpretativa adottata dal mio gruppo, il macro rito della laurea è diviso in due micro riti: il rito istituzionale (discussione della tesi e proclamazione) e il rito sociale (tutto ciò che avviene dal momento in cui il neolaureato viene fatto spogliare e, eventualmente, travestire, in poi). Sia il rito istituzionale che quello sociale sono configurati come riti di passaggio, secondo la teoria di Van Gennep. Egli afferma che ogni società generale comprende società particolari, separate da confini più o meno netti a seconda del grado di civiltà raggiunto dalla società nel suo complesso (una società più tradizionale comporta confini più netti). L’individuo nel corso della sua esistenza passa da una società all’altra mano a mano che passa da un’età all’altra e da una occupazione all’altra. Ogni passaggio è segnato da una serie di cerimonie che hanno il fine di disaggregare l’individuo dalla società di provenienza (fase preliminare) e di riaggregarlo allo società di destinazione (fase post liminare). 
Questo è quanto avviene anche nella laurea, in cui l’individuo passa dallo status di studente a quello di laureato, dal mondo dell’università a quello del lavoro. Il confine tra questi due diversi status, nella società attuale, non è molto netto come poteva esserlo in passato; lo status di laureato è inoltre molto meno elitario e garantito rispetto ad un tempo. Questo può spiegare in parte il carattere più privato del rito attuale, rispetto all’ufficialità e solennità della cerimonia antica, descritta al punto n.1. 
Nella fase liminare del rito, quella in cui avviene il passaggio di status vero e proprio, l’individuo si trova al margine della struttura sociale, in uno stadio intermedio in cui viene definito come "iniziato". Per quanto riguarda il rito sociale, questa fase è stata individuata nella lettura del papiro. 
Prima però di analizzare quest’aspetto, è utile fare riferimento alla classificazione dei riti di passaggio proposta da Turner. È possibile perciò definire la laurea come un rituale di elevazione di status, dal momento che si ha il passaggio ad uno status sociale superiore. L’aspetto interessante di questo tipo di rituale è che comporta un avvilimento o umiliazione del novizio nella fase liminare, prima dell’elevazione definitiva. Si tratta poi di un rito di crisi del corso di vita, la cui struttura si ripete in modo simile per molti individui, ma che viene affrontato e vissuto in modo individuale dal singolo. 
Questi concetti permettono di inquadrare meglio lo status di iniziato che il laureato assume con la lettura del papiro. Nei riti di passaggio delle società tradizionali, in genere relativi al passaggio dalla vita infantile a quella adulta, il novizio è considerato come morto per un periodo di tempo più o meno lungo: spesso viene tenuto in isolamento rispetto alla comunità in cui vive e si trova in uno stato particolare, caratterizzato dal mescolamento e dalla sospensione dei simboli e delle regole che distinguono i diversi gruppi costituenti la comunità. Questi caratteri sono riscontrabili, sebbene naturalmente in maniera più attenuata, perché il "salto" è molto meno netto, anche nel corso della lettura del papiro, considerata come fase liminare. 

Perdita dell’identità

Gli iniziandi, oltre a non avere una collocazione sociale definita, nella fase liminare perdono anche la loro identità individuale: vengono infatti lasciati nell’anonimato, oppure definiti genericamente con un nome collettivo. Il coro "Dottore…" ricopre, in un certo senso, questa funzione: ripetuto sempre identico per tutti i neolaureati, senza neppure una distinzione di genere maschile/femminile, mette in evidenza unicamente il passaggio di status e lo rende immediatamente riconoscibile anche per gli estranei che si trovino ad assistere casualmente. 

Obliterazione 

È pratica frequente quella di imbrattare in qualche modo il neolaureato; questo serve a isolarlo dal resto della comunità e a spogliarlo dalle caratteristiche dello status precedente. Gli esempi concreti nelle lauree che abbiamo visto sono stati diversi: la laureata B è stata dipinta di blu in faccia, il "vicino di panchina" del laureato A è stato sporcato di mascara fucsia sui capelli e sui peli del petto. La tradizione goliardica prevedeva poi lancio di uova e farina; questo oggi non è più possibile, il Bò è pieno di cartelli che promettono multe salate. Ma sono state trovate diverse soluzioni alternative: nella laurea B hanno fatto la loro comparsa pistole ad acqua e, più tardi, bombolette di schiuma; nell’altra laurea prima citata è stato teso un telone di nylon sulla panchina in modo da evitare di sporcare. 

Ambiguità e paradosso 

Agli iniziati vengono applicate categorie contraddittorie ed entrambi i termini di polarità generali: questo, relativamente al rito di laurea, è vero soprattutto per quanto riguarda l’opposizione maschile/femminile, anche perché l’ironia a sfondo sessuale è uno degli ingredienti fondamentali degli scherzi che vengono fatti. Capita molto spesso che laureati maschi vengano travestiti da donne, con abiti esageratamente femminili e sexy e "forme" costruite ad hoc (per esempio, sempre il laureato prima citato). Quest’ambiguità si può riscontrare anche nei disegni di alcuni papiri, in cui gli attributi maschili a volte vengono minimizzati, o alcune ragazze vengono disegnate con tratti eccessivamente maschili. 

Isolamento

L’aspetto più evidente dell’isolamento iniziatico è il fatto che la lettura del papiro avviene in cima ad una delle panchine davanti al Bò. Ho già parlato dell’origine di questa tradizione, e di come nel passato i neolaureati dovessero andare ancora più in alto rispetto ad oggi. Il fatto che il laureato debba stare in alto, per la lettura del papiro, è un ritema talmente radicato nei partecipanti all’interazione rituale, che deve essere mantenuto a tutti i costi, come si è visto nella laurea C, quando è stato impossibile leggere il papiro sulla panchina perché pioveva troppo. Gli amici, allora, hanno fatto salire la laureata in cima ad un cestino per le immondizie poco distante, al coperto, sotto un portico vicino al Municipio. Perfino un vigile presente ha avvallato quest'infrazione, chiedendo solo che la ragazza scendesse quando il sindaco stava per passare, e permettendo poi il proseguimento della lettura. Questo si è quindi rivelato come un elemento essenziale al rito, anche se certo nessuno dei presenti, in quel momento, poteva averne presente il significato: ma sono proprio i simboli più oscuri ad avere maggiore presa su chi li adopera. 

Prova iniziatica

La lettura del papiro viene vissuta anche come una "prova" iniziatica (naturalmente, come ho già detto, in modo molto attenuato e prettamente rituale): il laureato deve riuscire a leggere senza compiere errori e senza esitazioni, cosa pressoché impossibile, data l’eccitazione del momento e la difficoltà di testi in rima, in dialetto, in gergo. La sanzione rituale (e anche questa, di ascendenza goliardica) per gli errori è il bere vino, su ordine generalmente degli amici. Il laureato A, però, era astemio: la soluzione alternativa trovata è stata il soffiare in una trombetta di Carnevale, cosa che non ha mancato di suscitare proteste e commenti negativi nei presenti. 

Conclusione

Il neolaureato, dunque, è un iniziato, privo, per il momento, di nome e di qualsiasi segno che indichi il suo status sociale. La lettura del papiro svolge a questo punto una funzione fondamentale: quella di ridefinire l’identità del laureato e di reintegrarlo nella società con il suo nuovo status
Questo avviene attraverso l’intestazione e il contenuto del papiro, i ringraziamenti finali. 
Generalmente l’intestazione è strutturata in questo modo: Università degli studi di Padova [o comunque una denominazione molto ufficiale e pomposa: nella laurea B era in latino]; Facoltà di [nome della facoltà]; oggi… con la data [anche questa in forma spesso solenne: addì…]; è dottore in [nome del corso di laurea] [nome del laureato]. Fin dall’inizio, quindi, al laureato viene ridato il suo nome e proclamato il conseguimento del suo obiettivo, e ciò viene fatto con forme ironicamente solenni. Questa proclamazione può essere ripresa anche alla fine, in forma molto meno solenne, anche se non sempre questo avviene (nella laurea B il testo era: "finalmente ti sei laureata, dottoressa di merda!"). 
Il contenuto tipico del papiro è la storia della vita del laureato, dalla nascita (o addirittura dal concepimento) fino al giorno della laurea; il tutto viene raccontato in modo ironico e scherzoso, mettendo in evidenza, secondo le parole di un autore di quello della laurea B, " tutte le cose stupide che ha fatto", per additarlo al "pubblico ludibrio". Da un punto di vista strutturale però, in questo modo, il nuovo status di laureato dell’individuo viene presentato come coronamento di tutti i passaggi precedenti nel suo corso di vita, come punto d’arrivo e completamento del percorso finora compiuto. È significativo, per questo aspetto, che la laureata B abbia definito, più tardi, di aver vissuto la sua laurea proprio come il raggiungimento di un importante traguardo a cui teneva assistessero tutte le persone che erano state importanti per lei nel corso della sua vita. Ha usato proprio una metafora, per indicare quello che aveva significato la laurea per lei, che sembra descrivere il papiro stesso: l’ha definita come un grande foglio di carta bianco a cui sono stati aggiunti man mano i vari momenti importanti della sua vita, fino a concludere il quadro con la laurea. 
Per quanto riguarda i ringraziamenti finali contenuti nel papiro, si tratta di un elenco piuttosto lungo di nomi accompagnati dalle più svariate prerogative: dal classico "si congratulano" ad espressioni più ironiche come "se ne fregano", "si depilano", "si ubriacano" e così via. Al di là dell’ironia e della volontà di divertire, in questa parte del papiro viene chiamata in causa tutta la rete di conoscenze del laureato, e spesso anche le istituzioni pubbliche o private con cui ha avuto o avrà a che fare in ambito scolastico e lavorativo, quasi a voler rendere partecipe la società intera del fatto che un suo membro ha acquisito un nuovo status. 

La lettura come rappresentazione: Goffman

La lettura del papiro si presta molto bene ad essere analizzata secondo il modello goffmaniano: è una rappresentazione, infatti, non solo in quanto interazione sociale faccia a faccia, ma anche per le sue caratteristiche strutturali. Spesso infatti si assiste ad essa come si assiste ad uno spettacolo teatrale, che si svolge su una vera e propria ribalta: le panchine davanti al Bò. 

Attore, pubblico, estranei 

A prima vista la distinzione tra attore (il laureato), pubblico, estranei in questa interazione rituale è immediata. Analizzando con più attenzione, però, si osserva la formazione di un’équipe "trasversale" che unifica l’attore principale ad alcuni fra i membri del pubblico. 
L’attore principale è, naturalmente, il neolaureato, per il quale gli autori del papiro (generalmente gli amici, a volte il partner, spesso con la collaborazione di qualche parente) hanno scritto un copione che deve essere, letteralmente, messo in scena. L’attore conosce, a grandi linee, come deve essere svolta la rappresentazione: il paradigma di riferimento sono i riti di laurea già visti in precedenza. Le regole particolari della sua lettura del papiro, però, non sono stabilite da lui: egli sa solo che deve adeguarsi a ciò che gli viene imposto, non prendersela se qualche scherzo è troppo cattivo, mostrare comunque di divertirsi ed apprezzare il lavoro che è stato fatto per lui. Mentre questi atteggiamenti sono stati espressi spontaneamente dalla laureata B, come confermato in seguito dall’intervista ("è stato molto bello, molto tranquillo, anzi sono stata molto contenta"), non così nella laurea A. Il laureato infatti molto spesso reagiva con smorfie appena trattenute a quanto scritto nel papiro (per esempio dopo "cittadinanza: padana", "adesso penserà a far figli"), a significare disapprovazione, cercando però di mascherarla per non mortificare la fidanzata, che ne era l’autrice. 
Il pubblico (inteso come tutti coloro che sono venuti ad assistere intenzionalmente alla laurea), a sua volta, sa che deve ascoltare il laureato, mostrare interesse e divertimento, applaudirlo, fingere eventualmente di scandalizzarsi (ma mai mostrare di farlo sul serio), oppure rivelare altri particolari ancora più compromettenti su di lui. Si osserva che però non tutti i suoi componenti sono attivi allo stesso modo; una maggior partecipazione è riscontrabile soprattutto negli amici più stretti e in coloro che hanno scritto il papiro. Se questi sono più d’uno, come nella laurea B, vengono a costituire una équipe che coopera per la riuscita della messa in scena. Quest’équipe si viene a creare, verosimilmente, già nel momento in cui essi si trovano per la stesura del papiro, e la sua presenza è poi evidente in tutte le fasi del rito: nell’attesa prima della discussione si prendono accordi per gli scherzi che verranno fatti dopo; immediatamente dopo la proclamazione, nella confusione delle congratulazioni, chi ha portato il papiro si preoccupa di allontanarsi per appenderlo o di mandare qualcuno a farlo, in modo che quando il laureato scende tutto sia pronto. Nel corso della lettura, poi, sono sempre le stesse persone che aiutano il laureato a sorreggere il papiro, che gli dicono quando bere, che tono di voce usare, di spiegare i riferimenti contenuti. Tutto questo viene fatto a beneficio sia del gruppo di amici, che mette in scena il proprio legame affettivo con il laureato, dimostrandogli attraverso le azioni rituali la volontà di festeggiarlo per il risultato raggiunto, sia per le altre persone presenti, che non hanno preso parte al retroscena della preparazione. 
Il laureato, a volte suo malgrado (laurea A), è tenuto a collaborare con l’équipe per la riuscita dello spettacolo, evitando di compromettere la rappresentazione con manifestazioni di dissenso o di rifiuto nei confronti di quanto gli viene "imposto" di fare: entra così a far parte della stessa équipe, anche se con un ruolo del tutto particolare. La sua collaborazione è essenziale, e non deve risultare forzata: ciò viene avvertito come una stonatura, come dimostrano le proteste nel corso della lettura A: "Ma leggi bene!", "Voce, per l’amor di Dio!". 
Alla rappresentazione, infine, assistono anche degli estranei, cioè i passanti che danno un occhiata o si fermano ad ascoltare la lettura. Essi non hanno nessun ruolo particolare nell’interazione; sono semplicemente tenuti a non interferire con essa in modo da comprometterla. Non devono dare nessuna impressione particolare: osservandone le espressioni, si nota che tengono atteggiamenti diversi e molto personali, legati probabilmente al loro senso della decenza e al fatto che conoscano o no di che rituale si tratti: alcuni si fermano e assistono divertiti, altri gettano solo un’occhiata appena incuriosita, altri (per esempio i vigili) sono generalmente indifferenti, i giapponesi ovviamente fotografano, una donna islamica ha osservato scandalizzata la laureata in mutande, una maestra proveniente dal Sud Italia ha chiesto spiegazioni (confermando il fatto che il rito è una peculiarità di Padova). 
Queste diverse reazioni generalmente vengono ignorate dai partecipanti all’interazione principale; in qualche caso però anche gli estranei vengono coinvolti. L’iniziativa è di solito presa dal laureato su pressione degli amici (la questua, per esempio) ma, in qualche caso, parte dagli estranei stessi: un nonno ha chiesto al "vicino" della laurea A di farsi una foto assieme alla sua nipotina. In questi casi la reazione attesa è quella di "stare al gioco", di lasciarsi coinvolgere dal clima festoso per non compromettere la definizione della situazione in corso: non sono rari però rifiuti e reazioni infastidite, che vengono sanzionate scherzosamente dagli sberleffi degli amici. 

La leadership espressiva e la leadership di regia

L’analisi della distribuzione del potere di dirigere e controllare la rappresentazione rivela come alla lettura del papiro sia applicabile la distinzione goffmaniana tra leadership espressiva e leadership di regia. La prima è riferita al membro dell’équipe che diventa il centro dell’attenzione dei presenti alla rappresentazione: ovviamente, in questo caso si tratta del laureato (cfr. punto n. 2 : focus dell’attenzione), posto in alto anche per focalizzare meglio gli sguardi dei presenti. 
La leadership di regia, invece, consiste nel compito di dirigere e controllare lo svolgersi della rappresentazione dell’équipe. Come ho evidenziato sopra, questo ruolo non appartiene al laureato ma ad alcuni membri del pubblico, per la natura strutturale della situazione. Nella laurea A era ricoperto dalla fidanzata, autrice del papiro. Il laureato nel corso della lettura si voltava spesso a guardarla, chiedeva suggerimenti per le frasi che non riusciva a leggere e per le battute che non capiva, cercava conforto per arrivare alla fine di quella tortura. Lei stessa, prima che lui iniziasse, gli aveva dato la trombetta dicendo: "Ti dico io quando [devi fischiare]"; inoltre era stata lei ad incitare inizialmente i cori e, poi, a mandare gli amici ad appendere il papiro. 
Nella laurea B la leadership di regia era suddivisa, invece, tra diverse persone, anche perché al papiro avevano collaborato una decina di amici. Le direttive organizzative erano prese, alternativamente, da tre o quattro degli amici e dalla sorella della laureata. Nel corso della lettura, però, è intervenuto un elemento nuovo: come ho già evidenziato al punto n. 2, si è verificata la creazione della leadership carismatica. Sul piano drammaturgico, questo ha comportato uno spostamento della leadership di regia dagli amici alla laureata stessa, che ha iniziato a prendere da sola l’iniziativa di bere ai propri errori, senza aspettare gli incitamenti degli altri; ha cercato di chiamare sopra la panchina un’amica perché spiegasse al posto suo un punto che non era chiaro; ha "imposto" di sottolineare con un "Olè!" ogni nome citato. Questo mutamento è stato rilevato anche dai commenti divertiti degli amici: "Fa tutto da sola…"; "Non vorrei mai rubarti la scena". 

Il retroscena messo in pubblico

Il contenuto del papiro è, come ho già accennato, la storia della vita del laureato, raccontata nelle sue fasi salienti. Quello che si cerca di mettere in luce, però, non sono tanto i traguardi positivi, i successi raggiunti, gli aspetti "seri" del carattere dell’individuo: si va invece in cerca di tutto ciò che può suscitare il riso e, soprattutto, abbondano i riferimenti a sfondo sessuale, spesso sotto forma di un vero e proprio elenco di ex fidanzati/e ed avventure più o meno disgraziate e comiche, di cui gli amici sono già a conoscenza. Il fatto che il papiro sarà letto di fronte ad un pubblico formato da tanti pubblici diversi (non solo gli amici, ma anche genitori, parenti, partner attuali del laureato), a volte ne influenza il contenuto, limitando i dettagli più scabrosi (laureata B: "era un papiro molto buono, mi aspettavo peggio"). 
I genitori erano molto partecipi alla lettura nella laurea B, ascoltavano con attenzione e ridevano, senza parlare molto fra loro. Anche se dal loro atteggiamento sembrava a volte che non fossero a conoscenza di alcune avventure della figlia, sembravano comunque molto divertiti. Questo è stato confermato nel corso dell’intervista: la laureata afferma di non essersi preoccupata minimamente del fatto che ci fossero anche loro tra gli ascoltatori, sia perché sapeva che l’avrebbero presa comunque come una cosa scherzosa, sia perché probabilmente di molte cose non si erano neppure resi conto, data l’emozione del momento. Nella laurea A invece solo la madre era molto partecipe (anzi, era quella che faceva il maggior numero di battute), mentre il padre tendeva a distrarsi e non seguire. 
La situazione particolare della lettura del papiro rende accettabili l’uso di un linguaggio particolarmente scurrile e di allusioni spesso molto esplicite, che non sarebbero considerate adeguate in altre situazioni di fronte a quel tipo di pubblico. Ciò non toglie che, nel caso in cui alla stesura del papiro collabori il partner attuale, i riferimenti a storie passate e a perversioni sessuali vere o presunte vengano spesso tagliati drasticamente. 

Conclusione 

Uno degli autori del papiro della laurea B, interrogato dalla maestra meridionale incontrata per strada, ha così spiegato la ragion d’essere della lettura del papiro: "Fondamentalmente, lo scopo è di far del male al laureato". Il papiro è, quindi, "un foglio con scritte tutte le cose stupide che ha fatto", con cui viene additato al "pubblico ludibrio". Quest’interpretazione "indigena" non è molto distante da quello che secondo me è lo scopo drammaturgico di questo rito. La lettura del papiro, dal punto di vista goffmaniano, si configura come distruzione rituale della facciata del nuovo status serio di laureato attraverso la rivelazione di informazioni distruttive provenienti dalle altre facciate dell’individuo, soprattutto da quelle meno compatibili con l’impressione di persona matura e responsabile che ora ci si aspetta da lui. Che questa distruzione abbia solamente un carattere rituale, e non influenzi l’impressione che gli altri hanno sulla persona, è reso evidente dal fatto che l’atteggiamento prevalente nel corso della lettura è quello di divertimento e scherzo, anche da parte di quelle persone che teoricamente dovrebbero essere più colpite (i genitori). 
Il laureato, a sua volta, non deve dare l’impressione di sentirsi imbarazzato o a disagio, o peggio ancora, arrabbiarsi, per quanto gli amici hanno scritto di lui: questo significherebbe mettere in pericolo la definizione della situazione come scherzosa e mostrare un disaccordo all’interno dell’équipe. Ciò non significa che il laureato non protesti spesso e non smentisca le informazioni distruttive che vengono rivelate: si tratta però di proteste di carattere puramente rituale, che in realtà rafforzano e consolidano il clima di scherzo. L’affermazione:- "Se ti arrabbi vuol dire che è vero!" con cui esse sono state liquidate nella laurea B, chiarisce perfettamente questo meccanismo: se il laureato sa stare allo scherzo, la sua immagine non viene lesa; in caso contrario invece non si dimostra all’altezza della situazione e finisce per fare una "brutta figura". Questo è stato l’errore del laureato A, che gli amici infatti hanno continuato a criticare scetticamente per tutto il rito, pur mostrandosi partecipi, come previsto dal loro ruolo, quando si rivolgevano direttamente a lui. 

Bibliografia e materiale utilizzato

Libri di testo

  • Claudè Rivière, I riti profani, Armando Editore, Roma, 1998.
  • Randall Collins, Teorie sociologiche, Il Mulino, Bologna, 1992.
  • Erving Goffman, La vita quotidiana come rappresentazione, Il Mulino, Bologna, 1969.
  • Erving Goffman, L'ordine dell'interazione, Armando Editore,Roma, 1998, prefazione a cura di Pier Paolo Giglioli.

Informazioni 

fornite dal goliarda "storico" di Padova Umberto Volpini "Kociss", webmaster del sito Goliardia.org

Osservazione partecipante di tre riti di laurea:

  • 23/03/2000 Laurea in Scienze politiche indicata come laurea A
  • 28/03/2000 Laurea in Scienze politiche indicata come laurea B
  • 29/03/2000 Laurea in Lettere e Filosofia indicata come laurea C

 Intervista alla neolaureata della laurea B.

Analisi dei papiri delle lauree A, B, C. 


 

 




 
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