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venerdì 9 maggio 2008 - ore 09:40



(categoria: " Vita Quotidiana ")


MEETING DI POMPEI
"I giovani sono la mia scommessa sacerdotale"

di Francesco Candian
da www.korazym.org, sabato 5 maggio

Lo chiamano don Spritz: ha il nome di un aperitivo alcolico tipico dei padovani e motivo di incontro per migliaia di giovani nelle piazze di Padova che trasformano il momento da incontro a festa sfrenata. In verità si chiama don Marco Pozza, ha 28 anni, è di Vicenza ed è prete da 4 anni. Una storia e uno stile di comunicazione particolari, specie per quanto riguarda l’evangelizzazione dei giovani. L’anno scorso aveva fatto discutere il suo presunto allontanamento dalla diocesi, a causa di un atteggiamento, definito dal Giornale di Vicenza, "troppo esuberante e fuori dagli schemi". In realtà, don Spritz vuole semplicemente essere tra i giovani, lì dove vivono, a cominciare dalla strada. Ne abbiamo parlato con il diretto interessato a Pompei, a margine del XXII Meeting dei giovani di Pompei.

Ciao don Marco e benvenuto a Pompei. Sinceramente è una sorpresa trovarti qui: non eri previsto tra gli ospiti, come mai da queste parti?
"Su questo hai ragione e se mi consenti una battuta ti dico che nemmeno lo Spirito Santo viene mai messo in scaletta, eppure centra sempre e comunque. In verità è stata un’occasione che mi ha dato don Giovanni D’Ercole di scendere con lui per una meditazione sullo Spirito Santo e io l’ho voluta cogliere al volo".

E sei stato contento?
"Sono rimasto sconvolto per ciò che ho trovato. Sconvolto positivamente, sia chiaro. Ho trovato un fiume di giovani, saranno stati almeno 5000 stamattina, tutti accomunati dalla gioia di avere incontrato Cristo. Oggi è un grande giorno di grazia, perchè questi ragazzi credono che con il vangelo si può dare colore al plumbeo grigio del mondo".

Sei giovane. Cosa significa essere sacerdoti a 28 anni?
"Ci sono cose che non puoi descrivere semplicemente con le parole. Il sacerdozio è una di queste. Non puoi descriverlo, ma solo viverlo e testimoniarlo. Ce l’hai dentro, ti fa fare delle follie: ma sappiamo tutti che le follie del mondo sono la sapienza del Vangelo. Io non posso lamentarmi della mia vita: sono sempre stato un ragazzo fortunato, ma Dio ha saputo darmi oltretutto anche la grazia di essere suo ministro. Vedere dei ragazzi che quando parli di Dio si mettono a piangere è il segno più evidente che Cristo esiste e vale proprio la pena essere un suo ministro".




Ci sono difficoltà?
"Ci sono per tutti. Vedi, io credo che sarei stato un bravo padre di famiglia, perchè mi piacciono i bambini. La famiglia è amore, ma anche essere sacerdote è amore. Quando nella mia vita ho dovuto scegliere, ho capito che essere padre di famiglia mi avrebbe reso contento, ma essere sacerdote sarebbe stata la mia vera felicità. Ancora oggi mi viene la pelle d’oca quando ci penso. Non mi è mai capitata una sera in cui abbia detto: “Maledetto il giorno in cui sono diventato prete!”.

Parole forti le tue, specie se si pensa che in questi 4 anni hai avuto anche qualche problema per il tuo stile "rivoluzionario"...
"Non credo che il problema sia il mio particolare sacerdozio: il vangelo di Luca, quando racconta dei discepoli di Emmaus, ricorda che il vangelo è nato dalla strada e ha bisogno dell’asfalto e della polvere per crescere. Quando sono arrivato in parrocchia a Padova come sacerdote non ho fatto altro che cercare i giovani che non venivano in chiesa. Il fatto che ciò abbia creato problemi dovrebbe far riflettere: non sono io che faccio il prete strano, è la società che è strana e non riesce ad accettare una cosa semplice come l’andare incontro alle persone per ascoltarle. Ricordo che Don Giovanni Bosco ha iniziato incontrando un ragazzino per strada e chiedendogli se sapeva fischiettare, il ragazzino ha risposto che lo sapeva fare e don Bosco gli ha chiesto se poteva farlo per Dio. E guarda che avventura è nata. Magari ci fossero altri sacerdoti che la pensano come me: ci potremo mettere assieme e pensa a quante grandi cose potremo fare per la gloria di Dio. Del resto, è la fantasia dello Spirito Santo che chiede di rompere le barriere sociali della scontatezza e della quotidianità".

Sei stato definito un prete mediatico, capace di andare di fronte alle telecamere con molta disibinizione. Da Annozero a Mtv, fino ad un programma su Canale Italia: quanto è importante l’aspetto mediatico e quanto rischia di diventare una gratificazione per Marco più che per la sua testimonianza di sacerdote?
"Come ci sono sacerdoti a loro agio in un confessionale, così ci sono sacerdoti maggiormente a loro agio di fronte ad una telecamera. E’ una questione di sensibilità. Il rischio ovviamente resta grande da almeno due punti di vista: il primo è quello che accennavi, ovvero glorificare la propria immagine televisiva, anche se devo dire che se il Signore vuole la mia felicità non vedo perchè non dovrei essere soddisfatto di me. In secondo luogo, la televisione spesso da un’immagine distorta della realtà: ad esempio io sono stato battezzato dai media come don Spritz, ma il mio sacerdozio non scompare nel momento in cui non frequento più le piazze padovane degli spritz. Vedi, io sono un figlio spirituale di Giovanni Paolo II il quale ricordava di usare questo mondo per la glorificazione di Dio. Ogni cosa, dalla coca-cola alla televisione, è un mezzo che può essere utilizzato dai figli della luce per glorificare Dio.

Questa è la mia vera scommessa sacerdotale".


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