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lunedì 20 dicembre 2010 - ore 04:33



(categoria: " Vita Quotidiana ")


Il nuovo Muro

dicembre 17th, 2010 da Diego | Scritto in alcatraz-italia |

Fracassare bancomat, incendiare automobili, lanciare petardi, sampietrini, bombe carta, accerchiare in trenta un autoblindo con due sventurati poliziotti all’interno e rischiare che diventino tizzoni ardenti, sono azioni infami e mai niente le giustificherà. Ma è altrettanto infame occuparsi dei giovani solo quando vanno a fuoco le città. È come se si invitassero i più scalmanati a ripetere le loro gesta per ottenere udienza e uno straccio di notorietà. Sono due anni che sfilano pacificamente per le strade e non frega niente a nessuno. Li hanno trattati da minoranze imbecilli e indolenti, è stato detto loro che i veri giovani sarebbero quelli che stanno a casa a studiare, invece di ringraziarli per essere ancora vivi e reattivi, magnificamente capaci di scendere in piazza in questo cimitero virtuale per ricordarci che esistono e sono disperati.
Ne hanno mille e uno motivi. Ma un potere tutta pancia e niente testa o anima, un parlamento in cui dettano legge gli scilipoti e una maestrina dalla testa a martello come il prof di The Wall, sono la banda della Magliana della cultura, della politica, dell’arte dell’ascolto. È un Muro di omertà, di connivenze oscene, di mediocrità criminale. A molti di noi –che leggevamo Camus, Sartre, Pasolini e “Todo Modo” di Sciascia- questo parlamento ci ha fatto rimpiangere persino la democrazia cristiana, perché qualche fessura, qualche crepa, una breccia per la quale passare, la lasciava. E Aldo Moro (che all’epoca trovavo noiosissimo) oggi lo venererei come un santino e penderei dalle sue labbra. Perché osteggiare un Moro o un Berlinguer per ritrovarsi uno Scilipoti o un Calearo è la cosa più conturbante che possa capitare a una generazione.
Questo Muro di oggi è intonso come la fronte degli idioti, non sente ragioni né prova di sé pena o vergogna, al contrario, è compiaciuto della propria ineffabile tenuta, delle proprie prebende e immunità, dei posti pubblici elargiti ad amanti e parenti, si pavoneggia delle proprie schifezze, se ne vanta in barzellette da commendatore ai Caraibi. Le “zone rosse” che il Muro di oggi protegge sono ben altre che lo spazio antistante Montecitorio. Il Muro di oggi protegge le zone rosse interiori di chi era al potere in questi vent’anni e non ha mosso un dito perché era scomodo farlo. Perché non gli conveniva. Perché era ricattato dai propri scheletri custoditi negli armadi di qualcun altro, e viceversa. Detesto fare di tutta l’erba un fascio, ma chi oggi comanda, in Italia, non può non essersi già venduto a tutto. E chi ha ancora dei valori, chi è trasparente, chi ascolta, chi si dona, non può che fare la fame. Ci saranno solo rare e fortuite eccezioni.
Se io fossi un giovane nato negli anni Ottanta e Novanta, se l’unica forma di democrazia da me conosciuta fosse il berlusconismo e –da qualche giorno- il suo inevitabile epigono, lo scilipotismo, se avessi giocato coi mostri e con la play, avessi ciucciato latte Mediaset e Bruni Vespa Horror Show, se ogni santo giorno della mia giovinezza avessi sentito al Tg che la mafia e la camorra vincono, che la più cialtrona furbizia in questo paese ha la meglio, e i soldi, l’arroganza e la prepotenza sono l’unico valore che rende un uomo “nobile” e la vita degna di essere vissuta (il resto è utopia adolescenziale -dicono i furbi-cioè polvere e merda) e se oggi mio padre cassintegrato non potesse comprarmi il cellulare che pubblicizzano alla tele o mia madre insegnante precaria non potesse più allungarmi cinquanta euro per sfondarmi di birra con gli amici, be’, lo confesso, sarei più incazzato di loro, anche perché sarei privo di quegli strumenti di conoscenza che a noi aiutavano a temperare la rabbia e a reggere la complessità dell’esistenza: noi leggevamo, ma se avessimo avuto la tv e la play avremmo certamente letto ancora meno di questi ragazzi che andrebbero ascoltati per ore e giorni interi, in silenzio religioso, perché questi ragazzi sono l’unico futuro che ci fa un po’ sperare, l’ultimo meraviglioso sussulto di una civiltà spenta.
Non si debbono assaltare i palazzi della democrazia, ma non si può pretendere che in un regime scilipotico non accada una rivolta. È ipocrita e soprattutto idiota. Chiunque veda quegli omini lì si sente giustificato a lanciare il proprio stuzzicadenti. Come si fa a non capirlo? Come puoi pretendere che la gente crepi di fame in un cantuccio vedendosi governata da gente di questo livello? Auguriamoci che qualche testa pensante sospenda la riforma universitaria e si apra al dialogo col movimento studentesco, o si moltiplicheranno le zone rosse e quel che resta del confronto democratico finirà come le immondizie napoletane, per le strade e solo per le strade.
Per vent’anni avete insegnato ai giovani che non esiste altro valore che il denaro. Una crisi economica violentissima ha reso povera la maggioranza degli italiani. Non essendoci più altri valori di riferimento sta montando una rabbia devastante. Se i politici non lo capiscono, poveri noi. Ieri, ad Annozero, avrei voluto sentire i giovani studenti invitati. Ma non è stato possibile capire le loro ragioni. Gli “adulti” li interrompevano in mille modi, minacciosi o bonari, pretendendo da loro che si smarcassero dalla violenza, senza capire la portata incendiaria e violenta delle loro personali “zone rosse”. C’era bisogno di silenzio e di ascolto, invece di questa esibizione d’immaturità decrepita davanti ai nostri figli. Un’altra occasione mancata. Un’altra esibizione del nuovo inossidabile Muro.

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mercoledì 17 novembre 2010 - ore 14:47



(categoria: " Vita Quotidiana ")


MODESTA PROPOSTA PER UN’ITALIA IN GINOCCHIO

novembre 17th, 2010 da Diego | Scritto in alcatraz-italia |

Il berlusconismo è l’era della politica pubblicitaria, quella delle promesse annunciate in Tv. Anche gli spot pubblicitari promettono e non mantengono: resta la cellulite, le dentiere cadono lo stesso, i pannolini non assorbono la quantità promessa di pipì. Eppure la gente continua a comprare quelle colle e quei biscotti perché, mangiandosi come un’ostia le ciambelline del Mulino Bianco è come se vivessimo ridenti in quella famiglia lì, in quel casale, in quel bel prato all’inglese. Se il berlusconismo non mantiene le promesse annunciate, Lui riparte con una martellante campagna di spot: annuncia nuove promesse, ricompatta il fronte dei suoi elettori contro un nuovo nemico: adesso saranno i “traditori” di Fini, i nuovi “comunisti”.

Leggo con meraviglia e spavento che tutti annunciano la morte del berlusconismo. Naturalmente mi auguro di tutto cuore che ciò sia vero. Il Paese è alle corde, quello “reale”. Ma quello visionario, che poi è l’Italia di Berlusconi, è un pugile suonato così come dicono? I nove milioni (una cifra enorme) che hanno seguito Fazio e Saviano in Tv in una trasmissione socialmente all’avanguardia ma televisivamente ferma agli Anni Ottanta, fanno gridare al miracolo gli ottimisti. Significa che gli italiani sono cambiati, osservano. Significa che non ne possono più del nulla cosmico di trasmissioni come “Il grande fratello”. Magari fosse così, può darsi, io lo spero. Ma sempre di televisione stiamo parlando, non di un fatto concreto. Di “visionarietà” contrapposte. L’immaginifico di Rai 3 contro l’immaginifico di tutte le altre. Televisivamente siamo a Davide e Golia. Un nano che batte il più gigantesco nano di Arcore? La verità, credo, è che l’unica concreta alternativa politica al berlusconismo sia, fino a questo momento, rappresentata dal polo Fini-Casini-Rutelli. Ammesso che così sia, possiamo esultare? Un eventuale governo di unità nazionale che lasci fuori Berlusconi e la Lega -fortemente auspicato da molti, se non altro per formulare una nuova legge elettorale- siamo sicuri che non rilancerebbe alla grande proprio Berlusconi e Bossi? Temo di sì, anzi ne sono quasi certo. La logica del “ribaltone” sancirebbe il cosiddetto “tradimento” di Fini, e Berlusconi, la vittima, il tradito, il generoso fucilato dai suoi beneficiati, otterrebbe di nuovo la leadership per altri 5 anni o quantomeno il Quirinale assicurato. Le nonne ci consigliavano di non vendere la pelle del lupo prima di averlo ucciso. Io credo che questo Paese abbia bisogno di un bagno di sobrietà, una parola per noi italiani quasi sconosciuta. Se non si riesce, con sobrietà, a coinvolgere la gente anche al di fuori del teatrino televisivo, casa per casa, e in piazza come una volta, con quella forza della passione e soprattutto delle idee che a sinistra, per ora, ha solo Vendola (e Vendola da solo non credo ce la possa fare) il match sarà solo televisivo. In tal caso è Berlusconi il Cassius Clay, non ci sono santi. Per mandarlo al tappeto ci vuole una squadra. Solo un “Noi” potrebbe battere il suo strabordante Ego. In quella squadra i politici dovrebbero fare un passo indietro. E gente come Saviano, uno avanti. Una squadra di governo tecnica e simbolica, costituita da esperti autorevoli alla guida dei dicasteri e personaggi di alto profilo civile, ecco, per questa Italia in ginocchio credo ci sarebbe bisogno di un nuovo pugile

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mercoledì 6 ottobre 2010 - ore 15:32



(categoria: " Vita Quotidiana ")






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sabato 28 agosto 2010 - ore 04:04



(categoria: " Vita Quotidiana ")






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sabato 21 agosto 2010 - ore 14:33



(categoria: " Vita Quotidiana ")


La formica è una stronza

agosto 21st, 2010 da Diego | Scritto in alcatraz-italia |

Mia madre mi ripeteva come un mantra come mi ero comportato appena nato. Mentre la levatrice mi sorreggeva per le ascelline avevo ballato sulla sua pancia e poi le avevo fatto pipì sull’ombelico. A questo punto la levatrice aveva profetizzato sulla mia futura personalità: “Sarà vino, donne e canto!” E così fu. Da bambino ridevo, cantavo, facevo le imitazioni. Mio padre, un intellettuale, era preoccupatissimo. Una volta orecchiai dietro la porta della loro camera da letto. “Ho tanta paura che questo pupo sia un cretino” disse. “Ma no, è vino donne e canto” rispose mia madre come una macchinetta. La domenica mattina mio padre mi istruiva. O mi faceva sentire un disco al grammofono di casa oppure mi leggeva qualche pagina di un libro. Il libro era una favola di La Fontane, il disco “Il mattino” di Grieg. Sempre quelli. Una specie di condizionamento come con i cani. Al termine, se ero stato attento, invece del biscottino mi dava cento lire. Inesorabilmente io scendevo al bar “da Gianni” e mi compravo due coni da 50. Mio padre andava da mia madre e diceva “Non c’è niente da fare, è un cretino”. E lei ripeteva come un mantra “Vino, donne e canto”. Stamattina ho finalmente trovato il bandolo di tutta la mia personalità. E ho scoperto il mio assassino. Tutta la colpa è stata di quella stronza della formica. Perché mio padre, che per tutta la vita fu perseguitato dall’idea della sciagura economica e di finire sul lastrico, e che mi ha trasmesso come una malattia ereditaria l’identica angoscia, condizionato dal “Vino, donne e canto” di mia madre (condizionata a sua volta da quella delinquente della levatrice) tutte le sante domeniche mi leggeva, come un contro-mantra, la favola “La cicala e la formica”. Al termine, come per “La corrazzata Potëmkin”, aveva luogo un dibattito. Il dibattito consisteva in un suo monologo (avendo io dai tre agli otto anni) in cui mi ribadiva le grandi qualità della formica, che era “saggia”, che era “economa”, che era stata “lungimirante” e che, infine, si era fatta pure una bella risata alla faccia della cicala. Io annuivo poco convinto. Allora lui si precipitava da mia madre e sussurrava solenne “Temo che sia un cretino”. E lei “Ma te l’ho detto mille volte, è vino, donne e canto!”.

Dicevo che stamattina sono finalmente venuto a capo di tutta la faccenda. Avevo sognato di elemosinare un cono gelato davanti al bar “da Gianni”. Per commuovere i passanti cantavo “Il mattino” di Grieg. Ma tutti passavano oltre ridendo. Perché nevicava. E io gli gridavo dietro “Ma che ti ridi? Uno non può smaniare un cono cioccolato panna e fragola anche se nevica?” Ma le coppiette e gli anziani scuotevano la testa e si dicevano “E’ vino, donne e canto. Non gli date nulla”. A questo punto ho avuto la sacra intuizione di rileggermi quella dannata favola. Non l’avevo mai più fatto, perché a forza di sentirmela ripetere da papà mi veniva un rigurgito al solo sentire “cicala”, “formica”, o “La Fontaine”.

Ed è stato tutto chiaro. Tanto per cominciare la cicala è un eroe. Suona e canta gratis per tutti. E’ simpatica, ti fa ridere, si dona alla vita completamente. Ha capito che “del doman non c’è certezza” e si spara su due piedi tutto quel che ha. Poi, quando viene il brutto tempo, fa la cosa più naturale del mondo: bussa alla porta degli amici (è chiaro che la cicala sia cristiana e abbia letto i Vangeli “Bussa e ti sarà aperto”). Manco per niente. Quella cozza della formica, non solo non le fa metter neanche una zampa in casa, al calduccio, ma gli ride pure dietro! Allora la cicala, con la massima dignità e il suo mesto violino in pugno, se ne va sotto la neve senza aggiungere mezza parola. Neppure un gesto di vittimismo o un sacrosanto vaffa. Nulla. L’eroe puro! Ma è chiaro che un bambino parteggi per la cicala, cosa volete che faccia? Il tifo per quella secchiona della formica? Già, ma un adulto? Ci ho riflettuto su a lungo, bevendomi tre o quattro caffè e canticchiando “Il cuore è uno zingaro” di Nada. Ora, è a tutti evidente che se uno fa come la formica non ha problemi né col sole né se nevichi. Quella cornuta c’ha come minimo i BOT sotto la mattonella ma pure un conto cifrato in Svizzera. “Di’, non ti farebbero comodo?” mi sono spietatamente chiesto. E ho tratto un gran sospirone. Ma il cuore è uno zingaro e ho finito col dar ragione al bimbo che fui. “La cicala è molto più figa della formica, non ci piove. Sarai pure un cretino, ma la formica è, è stata, e sarà per sempre una fottutissima stronza”. Amen.

(Per tutti coloro che non si ricordassero la spocchiosissima favoletta, la riporto qui di seguito)

LA CICALA E LA FORMICA

L’estate passava felice per la cicala che si godeva il sole sulle foglie degli alberi e cantava, cantava, cantava. Venne il freddo e la cicala imprevidente, si trovò senza un rifugio e senza cibo.

Si ricordò che la formica per tutta l’estate aveva accumulato provviste nella sua calda casina sotto terra. Andò a bussare alla porta della formica.

La formica si fece sulla porta reggendo una vecchia lampada ad olio.

- Cosa vuoi? – chiese con aria infastidita.

- Ho freddo, ho fame….- balbettò la cicala. Dietro di lei si vedeva la campagna innevata. Anche il cappello della cicala ed il violino erano pieni di neve.

- Ma davvero? – brontolò la formica – lo ho lavorato tutta l’estate per accumulare il cibo per l’inverno. Tu che cosa hai fatto in quelle giornate di sole?

- Io ho cantato!

- Hai cantato? – Bene… adesso balla!

La formica richiuse la porta e tornò al calduccio della sua casetta, mentre la cicala, con il cappello ed il violino coperti di neve, si allontanava, ad ali basse, nella campagna.



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mercoledì 18 agosto 2010 - ore 14:44



(categoria: " Vita Quotidiana ")






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giovedì 22 luglio 2010 - ore 14:02



(categoria: " Vita Quotidiana ")



DAI BABBUINI ALLA P3

luglio 21st, 2010 da Diego | Scritto in alcatraz-italia |

Sono stato in Sudafrica con mio figlio Francesco. Che bello essere padri. Abbiamo visto la finale, le zebre, i pappagalli e abbiamo letto insieme “La vita davanti a sé” di Romain Gary. Un babbuino gli ha rapinato la cioccolata dal frigobar (lui stava a letto e il babbuino ha spalancato la portafinestra con un “Gnuaaak!”). Francesco si è barricato in bagno mentre il ladro con la coda faceva manbassa. Poi ha chiuso frigo e finestra ed è uscito con la disinvoltura di una cameriera. Fossi stato un pittore starei tentando di dipingere la luce del Sudafrica, un bianco immacolato, da prima di Dio, il dentro della mela. L’aria era fresca e le parole fra noi venivano via come chicchi d’uva. Io non sapevo che il Sudafrica se ne sta appollaiato a 1600 metri d’altitudine neanche fosse Cortina d’Ampezzo. Appena atterrato stavo per baciare l’aeroporto come fa il Papa. Nel senso che mi stavo per allungare per terra a causa della pressione. Ho detto “Eccola là! Jack Folla nato a Fosso del Pratone morto per mancanza d’ossigeno al Johannesburg International Airport.” Poi i polmoni si sono adeguati gentilmente. A Roma c’è un caldo umido che la pelle pare sugo. Laggiù ho conosciuto Fabrizio, un italiano di Parma che l’aveva capita 15 anni fa e se l’è data a gambe. Quando legge dell’Italia tira un sospiro di sollievo. Ha un bel lavoro, una casetta con giardino e Mandela. Meglio di così.
Qui stiamo alla P3. Non se ne può più di questi ladri infami. L’Italia è una escort cafona con il reggiseno di coccodrillo.

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lunedì 5 luglio 2010 - ore 15:24



(categoria: " Vita Quotidiana ")


Il senatore Dell’Utri, braccio destro del presidente del consiglio, è stato condannato anche in appello a sette anni di carcere per concorso in associazione mafiosa. Non gioisco né mi rammarico alla notizia: non sono un giustizialista né un adepto al teorema delle “toghe rosse”. Sono un cittadino di un paese alle corde in cui i mafiosi vengono eletti senatori e le vittime della mafia sono rimosse dalla memoria storica. Considero Dell’Utri e il suo partito un avversario politico, li osservo, li ascolto, faccio mie le loro ragioni e le confronto con la mia opinione, pronto a cambiarla se percepisco che la verità e l’oggettività non sono più dalla mia parte. Quando, ieri, Dell’Utri ha confermato in conferenza stampa che il mafioso Mangano “è un eroe”, ho tacitato una vampata d’indignazione spontanea e, come insegnano i grandi maestri yoga, ho trattenuto il respiro e fatto un vuoto interiore. Nella dichiarazione del senatore c’è del coraggio e della provocazione che non considero qualità negative. Di conseguenza ho assaporato con serenità le sue parole: “Mangano era una persona in carcere, ammalata – ha detto – invitata più volte a parlare di Berlusconi e di me e si è sempre rifiutato di farlo. Se si fosse inventato qualsiasi cosa gli avrebbero creduto. Ma ha preferito stare in carcere, morire, che accusare ingiustamente. E’ stato il mio eroe.” La mia verità, invece, che ho tratto da questa dichiarazione, è che Marcello Dell’Utri sia in buonafede. Suppongo soltanto che egli non si sia accorto di una cosa: ogni parola, ogni affermazione, ogni sua pausa, sono imbevute di cultura mafiosa. Dell’Utri venera chi sa (o non sa) e tace; dunque chi parla -secondo i suoi principii- è un essere spregevole, sia egli pentito o quaqquaraquà, comunque un traditore, così com’è “Megghiu scrusciu i catine ca scrusciu i campane”, meglio andare in prigione che morire per un infame. Maschio mitico, degno di rispetto, al punto da venerarsi come eroe è un assassino come l’amico Mangano, dedito a un santifico omertoso silenzio, perché “A megghiu parola è chidda ca un si rici”, la miglior parola è quella che non si dice. Sì, il senatore Dell’Utri è in buonafede, osserva e pratica con religiosa lealtà ciò che ha appreso sin da bambino, il senatore è uomo genuinamente mafioso. Questo credo, e per questo continuo a stare con Falcone, Borsellino, Peppino Impastato e tutte le vittime, celebri o sconosciute, della mafia, anche politica, del nostro tempo.

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giovedì 24 giugno 2010 - ore 02:03



(categoria: " Vita Quotidiana ")



Una lunghissima doccia

giugno 20th, 2010 da Diego | Scritto in alcatraz-italia |

Ho divorato giornali come popcorn da quando avevo diciassette anni e lavoravo come apprendista-”negro” nelle tipografie. Negli ultimi quarant’anni ho letto una media di otto quotidiani al giorno, con interesse decrescente negli ultimi tre anni. Ho comprato all’incirca centoventimila giornali nella vita (senza contare i periodici). Calcolando 1 euro a copia, ho investito sul Corriere, il Manifesto, la Repubblica, Il Giornale, La Stampa , il Sole 24 ore, L’Unità, il Messaggero e -ultimamente- Il Fatto, il costo di un due camere e cucina (che non ho) in zona semicentrale: circa 120-130 mila euro. In compenso mi sono fatto una casa di giornali che il mio cervello s’è bruciato. Ma ho goduto. Alzarsi all’alba e attendere la copia appena uscita dalla tipografia (sapere tutto e prima degli altri) da giovane mi eccitava quanto Brigitte Bardot. Ricordo pezzi memorabili di Pasolini, Montanelli, Afeltra, La Capria, Citati, Ettore Mo, Tiziano Terzani, la Fallaci, e tanti altri maestri. Mi hanno spiegato come andava il mondo, com’era andato fino all’altro ieri, e che cosa ne sarebbe successo di noi in futuro. Era bello vivere sapendo. A un certo punto questo giocattolo si è rotto. Non trovavo più quell’aroma di avventurosi saperi. Dai fogli svolazzanti non si sprigionava che un’ottusa malinconia e una sporca vita. L’Italia di cui si scriveva mi restava incrostata addosso, come fango secco, non se ne andava più via. Questo è accaduto all’incirca tre, quattro anni fa, ma era da tempo che mi andavo smarrendo nei giornali. Voglio dire: non c’erano più, quasi del tutto, le sentinelle, quegli avamposti dell’intelligenza che sono i giornalisti di razza. Naturalmente mi sono chiesto se non fosse colpa mia, un disinteresse esistenziale, una svogliatezza adulta e un po’ cinica, un maturo disincanto. Ma non lo credo, perché in tal caso non sarei più stato capace neanche di scrivere romanzi, e proprio in questi giorni ne sto attaccando uno nuovo. Né si può dire che la cultura sia assente dai giornali, al contrario, ve n’è perfino troppa, nel senso che faccio fatica io stesso -gran lettore- a riprovare quella ebbrezza curiosa di un tempo nel leggere certi titoli così raffinatamente specialistici, gelidi, da master dei più astrusi saperi, che riscontro nel domenicale del 24 ore, per esempio, o nelle paginate di “Repubblica”. D’accordo, invecchiando un pochino ci si rincitrullisce, e per chi fuma come le locomotive di una volta, l’ossigeno area poco il cervello. Fatto sta che da tre settimane, uno dei più generosi “piccoli azionisti” dei quotidiani d’Italia, s’è definitivamente stufato. Stufato come un manzo bollito di quel che dice e smentisce il premier, dello scandalismo, della “nera” gridata, dei pettegolezzi sul calcio o sulla Ventura, mi sono avvilito dell’assoluta e trasversale mancanza di senso dello Stato nella classe politica, quel malinconico Napolitano che firmi o non firmi mi infonde comunque un senso di vecchia, disperata resa all’arrembaggio delle istituzioni, mi sono avvilito nel leggere ogni santo giorno che chiunque entri nel grande giro (persino Bertolaso che stimavo) non si fa mancare un giro di giostra, vuoi una casa della Santa Sede, vuoi una velina o una mazzetta. Ma perché un cittadino italiano dovrebbe farsi carico di tutta questa porcheria? E con mio sommo stupore, un mattino, mi sono dimenticato di fermarmi all’edicola. C’erano i telegiornali a inseguirmi e le news su Internet a non farmi mancar nulla di questo bollito Paese. Ed è come se da tre settimane stessi immobile sotto la doccia, mentre l’acqua fresca si trascina via le incrostazioni di questi anni grevi. Ora ho bisogno di quella vita che si misura in secoli. I miei maestri sono Shelley, Leopardi, Seneca. Meritano ancora titoli da prima pagina. Le loro notizie sono più fresche che mai. E vengono via per meno di un cespo di banane, quattro euro a tascabile, meno di Panorama con l’inserto cellofanato sui “danni” della sinistra e di D’Alema.

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giovedì 24 giugno 2010 - ore 01:57



(categoria: " Vita Quotidiana ")






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